A stento Vasco sollevava prima un piede poi l’altro per sedersi infine dentro la tinozza di rame. Con le mani poste pudicamente fra le gambe nascondeva quello che ormai gli serviva solo per pisciare. Aveva ventisei anni, se non fosse stato per la capigliatura folta e nera avrebbe potuto dimostrarne quaranta di più.

Il contatto del panno pieno di sapone di Marsiglia, strusciato sul corpo da Loredana, gli procurava un sollievo tale che ogni volta che lei gli diceva la solita frase gli suscitava sulle labbra un lieve sorriso, gli unici sorrisi da mesi. «O come siete buffo con questa terza poppa, o che ve ne fate di tutte queste poppe? Che dovete dar latte? Avrebbero fatto comodo a me per allattare quì lupo famelico di mi figliolo…»

Terminava la frase così, con una sospensione e un sospiro. Solo una volta gli raccontò del figlio morto, ma Vasco in preda ai fumi dell’alcol non ne ricordava la storia e per rispetto non le chiese mai di raccontargli di nuovo perché il figlio fosse morto.

«Guardate qui come vù vi siete conciato la pelle, non dovete grattavvi a sangue, sembra v’abbian frustato! Ora ci penso io a voi, via… fuori dall’acqua! Vien via… un fate versi, un vi guardo state certo, tenete, coooosì!»

Loredana da dietro le spalle copriva le gambe e il culo di Vasco con un telo di lino consunto e gli frizionava con delicatezza la schiena inducendogli un leggero tentennare, dopo quel ninnare sui generis Vasco sentiva ogni muscolo, ogni tendine, ogni articolazione smollare le tensioni, fino a perdere coscienza di sé e galleggiare in un limbo privo di emozioni. Loredana lo lasciava solo per qualche minuto.

Rientrava in camera senza bussare: quando con una patata sbucciata e tagliata a metà, quando con un pezzo di panno umido intriso di succo di limone. Prima in posizione supina, e poi dopo averlo esortato a mettersi bocconi, gli sfregava la pelle irritata: o con la patata o con il panno, coprendogli le pudenda con un piccolo asciugamano messo a mo’ di perizoma.

Dopodiché lo copriva con il lenzuolo e la coperta e lo lasciava libero di addormentarsi. Si riaffacciava alla camera dopo qualche ora con i panni puliti e stirati: Vasco ne aspirava l’odore, ringraziava e sorrideva quando Loredana rispondeva alla sua domanda del perché li avesse stirati.

«O che li volevate grinzosi? … mah bellino coi panni puliti che sembran stati in culo a un cane! Quando e si fa’ e si fa’ a modino… sennò e un si fa’nulla e si fa’ prima! E ora che volete fare? Eh? Che ce la fate a mantenelli puliti? O poerin d’Iddio voi giovani… ehhhh!»

Questo sollievo durava qualche ora, così come la pulizia di Vasco e dei suoi abiti aveva una durata limitata: tempo una settimana era punto e a capo. E Loredana con costanza ritornava a prendersi cura di Vasco e dei suoi abiti come pochi giorni prima.

L’inverno alla meglio e peggio passò. Vasco dava sporadiche notizie alla famiglia, diceva di stare bene, di essersi sistemato presso una pensione, di essere ben accudito, di non aver bisogno di niente e che potevano interrompere l’invio del piccolo sussidio mensile. Raccontò di avere un impiego al mercato ben remunerato, non necessitava di niente e stava bene, molto bene. Con la stagione buona avrebbe fatto loro una visita. Non invitò mai i genitori a venirlo a trovare a Firenze e non aveva nessuna intenzione di far loro visita. Anche i contatti epistolari con Piero erano sporadici e anche a lui raccontava le stesse identiche cose raccontate ai genitori. Quando riceveva le risposte aspettava giorni prima di aprire quelle missive, le poneva sul piccolo tavolo in camera e lì le lasciava. Loredana lo esortava ad aprirle, lui facendo spallucce non le rispondeva. La sera scendeva in strada e beveva innaffiando di vino pensieri e dolore. Il più delle volte rientrava a mattina, a stento riusciva a infilare la chiave nella serratura, Loredana con l’orecchio teso aspettava di sentirlo salire le scale.

Nonostante fosse ubriaco fradicio non infastidiva gli altri ospiti della pensione, saliva piano, spesso togliendosi le scarpe e nessuno dei clienti ebbe mai a lamentarsi, anzi molti di loro non lo avevano mai incontrato. Dove trascorresse tutte quelle ore per Loredana era un mistero, ma non gli chiese mai spiegazioni. Con l’andare del tempo si era affezionata a Vasco e non voleva rischiare se ne andasse per causa sua. Come una madre cercava di comprendere quale fosse la sofferenza di quel giovane, ma Vasco non proferiva verbo riguardo alla propria vita confermando in Loredana quanto Vasco fosse un mistero e rafforzava il sentimento di affetto per quell’anima in pena.

Lui di quell’affetto era grato, le volte in cui non era preda dei fumi dell’alcol cercava di sdebitarsi con quella coppia che lo aveva accolto sotto il proprio tetto aiutandoli come uomo di fatica, ma questo era possibile solo nelle prime ore della mattinata, il resto del giorno si immergeva in un mondo fatto solo di vino e girovagare per la città.

Piero era sempre presente nei suoi pensieri e Vasco sperava di riuscire con il tempo a relegarlo in un piccolo scomparto del cervello, ma ancora non ci riusciva, e poi c’era Valfredo, il ricordo di quel corpicino caldo contro il suo petto lo straziava. Il ricordo di quella famiglia lo straziava e si confermava che no, non doveva e non poteva tornare da loro. Loro erano loro e lui non ne faceva parte.

Quella mattina Loredana era ancora a letto: da sempre si alzava prima del marito, da quando si erano sposati più di trent’anni addietro, specialmente poi da quando il loro unico figlio era mancato.

Loredana si coricava sempre tardissimo e si alzava ancora prima facesse giorno, tanto che lui le diceva: «Loredanina resta un pochinino qui con me, u’nandare via! O che ci sono i pruni nì letto?» «Peggio dei pruni… peggio!» Gli rispondeva la sua Loredanina mentre buttava le gambe giù dal letto.

Quella mattina stupito di sentirla ancora lì, accanto a sé, l’aveva sfiorata sul fianco: era tiepida. Allora le aveva dato un piccolo colpo sulla spalla e a seguire un altro ancora, e infine l’aveva scossa: «O… ma che ti senti poco bene? Loredanina un fa i’ bischero, via, rispondi! Che fai le celie di non sentire?»

Pochi minuti dopo quel consorte così poco attento ai bisogni della moglie, abituato a essere servito e riverito come un pascià era in ginocchioni sul materasso con la fronte appoggiata sul petto di Loredana. Loredana non avrebbe più buttato le gambe giù dal letto ancora prima facesse giorno. La sua Loredanina era andata a “riscontrare” l’amato figlio.

Fu un funerale poco frequentato. Un esiguo capannello di persone fuori dalla chiesa di San Lorenzo aspettò a messa finita l’uscita del feretro. Vasco non aveva assistito alla funzione religiosa, aveva atteso fuori dal portone che il prete officiasse il rito funebre risparmiandosi le parole di encomio uguali per tutti i defunti, lo sapeva da solo quanto Loredana fosse buona e quanto vuoto avrebbe lasciato con la sua dipartita, in special modo per lui: lo avvertiva già quel vuoto, pronto a tendere i tentacoli e a stringerlo in una morsa soffocante. Non aveva bisogno di stare ad ascoltare un sconosciuto in abiti talari tessere le lodi di quella brava donna. In disparte, sgomento, seguiva la bara trasportata a braccia sul selciato della chiesa per essere posta sul carro funebre.

Era rimasto a guardarne la partenza ballonzolante sulle pietre. Non sapeva quale sarebbe stata l’ultima dimora di Loredana e nemmeno gli interessava di saperlo, lui il suo cimitero lo aveva nel petto, e al camposanto non sarebbe andato, troppo fresco il ricordo di Basilio.

Loredana avrebbe capito se lui le avesse spiegato il perché, ma quella sconosciuta forse non avrebbe avuto bisogno di spiegazioni: Loredana aveva il dono di comprendere più dei suoi stessi genitori.

E anche Loredana era persa, andata, morta, così come Basilio. Vasco era ancora una volta solo: solo come non mai.

Una mattina pochi giorni dopo la morte di Loredana si incamminò con l’aria frizzante di fine inverno, non sapeva dove stesse andando, ma la cosa aveva poca importanza, si avviò dal centro verso l’Arno e ne seguì il corso a ritroso. Piano piano i fumi dell’alcol stavano svanendo mentre un barlume antelucano anticipava l’inizio della giornata: uguale a quelle passate e precursora di altre analoghe a quelle vissute negli ultimi mesi. Da ora in poi però in quelle giornate Loredana sarebbe stata assente, era l’unica che in un certo qual modo gli aveva fatto respirare aria di casa, lo accudiva senza aspettarsi niente in cambio. L’unica persona che gli avesse fatto provare il senso di famiglia. Lo aveva accettato senza condizioni e vincoli. Adesso era nuovamente solo. Il “solo” gli rimbombava nella testa amplificato nel vuoto in cui era immerso. Vasco camminava privo di progetti per il futuro, privo di affetti pronti ad accettarlo per quello che era, privo dell’unico amore mai provato, Piero.

L’Arno si era abbassato di livello, l’acqua marrone e limacciosa si stava schiarendo, anche il suo scivolare si era fatto più mite, spumeggiava appena vicino ai massi. La terra lungo fiume si stava asciugando, si sporse per sentirne l’odore, quell’olezzo di fogna a cielo aperto si era affievolito. Aveva appena oltrepassato un mulino, si chiese da quanto stesse camminando, forse da quasi due ore, raggiunse un’ansa del fiume, la superò, si fermò dove il greto si rialzava dal corso d’acqua, guardò in basso e con una spinta si tuffò, così, senza pensare a quello che stava facendo. Vestito e maleodorante, mentre il corpo si immergeva, sperò di essere ingoiato lui e il suo vuoto.

A nulla valeva il rifiuto di Vasco, lei dietro le spalle lo sospingeva verso la camera: «Su su Signor Vasco gnamo, è ora di lavarsi, Dio bonino sentite qui che cattivo odore! O indove vu’ siete andato ieri sera? Un vorrete mica che vi spogli io eh? So’ vecchia per voi, potrei essere vostra madre, ma guardate lì che bel giovane vu’ siete, dovete trovavvi una fidanzata signor Vasco! Gnamo gnamo, su veloce, mondo cane come vu’ siete secco, parete un uscio, si deve mangiare, mangiare avete capito? Ovvìa spogliatevi, giù via e mi giro vai! E un guardooo, infilatevi nella tinozza arrivo con l’acqua. Forza, forza e unn’ho tempo da perdere io!»

Vasco si spogliava: le ossa del bacino sporgenti, al posto della pancia una buca, il costato in evidenza, le clavicole ai lati del collo come una collana d’osso. La pelle bianca, quasi trasparente: pareva che sotto di essa il sangue non esistesse più.


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